L'asilo nido è una «attività rumorosa». E poco conta a che a dichiararsi disturbati siano pochissimi condòmini e (ovviamente) solo di giorno: la Corte di cassazione (sentenza 24958, depositata ieri) ha bocciato inesorabilmente l’attività di una cooperativa, condannandola anche al pagamento delle spese di giudizio.

La censura si basa soprattutto sull’enunciato del regolamento di condominio che vieta, all’articolo 3, un uso degli appartamenti «contrario alla tranquillità dell’intero fabbricato», e sulle affermazioni del Ctu incaricato dalla Corte d’appello che era pervenuto alla conclusione per cui «le immissioni provenenti dall’asilo nido superano i limiti di normale tollerabilità in due degli appartamenti indagati». La cooperativa che gestiva l’asilo nido aveva invocato un’interpretazione letterale del regolamento, puntando proprio sul concetto di «intero» fabbricato, sostenendo che il fastidio non riguardava tutto l’edificio ma solo una parte e in particolare, stando alla relazione del Ctu, solo due condòmini.

La Cassazione ha però affermato che la Corte di merito ha correttamente «ancorato il riscontro cui ha poi concretamente atteso, alla previsione del regolamento ove (...) è “fatto divieto di destinare gli appartamenti ad esercizi rumorosi” (...) sicché il concetto di rumoroso va delineato in relazione al suo concreto espletamento».

In sostanza, quindi, una volta appurato che l’attività è da considerarsi rumorosa, e che le attività rumorose sono proibite, anche se genericamente, dal regolamento di condominio (non è specificato se contrattuiale o meno ma questo, evidentemente, non ha importanza per la Cassazione), queste devono cessare immediatamente.

La Cassazione sembra quindi comunque orientata a contenere le atttività disturbanti, quanto meno quando non viene fatto appello alla conoscibilità del regolamento condominiale (questione comunque non invocata nel contenzioso sull’asilo nido).

Su questo punto la suprema Corte ha infatti insistito nel recente passato, “assolvendo” le attività imprenditoriali. Così il divieto di vari tipi di attività (estetista, bed & breakfast, pizzeria, rispettivamente con le sentenze 19212, 21024 e 21307, tutte del 2016) è stato di fatto aggirato grazie al fatto che le clausole del regolamento condominiale non erano espressamente richiamate nei rogiti o (in modo più restrittivo) il regolamento stesso non risultava trascritto nei pubblici registri immobiliari. (fonte IL SOLE 24ORE)